Era un pomeriggio afoso.Ci ero già stato altre volte, ma questa era tappa fissa per rifornirsi e dirigere verso Gibilterra.
Avevo passato la notte in bianco al timone e non vedevo l’ora di chiudere gli occhi, per poi ritrovarmi altrove, sognando i luoghi che avrei voluto visitare.
Ma riposare, soprattutto al pomeriggio, era impossibile, perchè i marinai quando toccano terra, hanno la smania di correre fuori, sfidando vento, pioggia e caldo, pur di infilarsi sotto qualche sottana.
Avevo un debito di gioco, pagare il barbiere. Aveva avuto la sua unica mano fortunata contro di me. Gli promisi che lo avrei portato a bere e procurato una femmina in carne che lo soddisfacesse.
Sapevo che sarebbero bastati un paio di bicchieri di rum e qualche carezza sulla patta e sarebbe crollato, dimenticando il debito.
In quel periodo uscivamo in divisa; per il Comando era un modo per tenerci sotto controllo, ma eravamo facilmente individuabili e facile preda di truffatori e papponi che giravano nei locali.
Entrammo in un bar,di quelli che fa buio anche in pieno giorno. Puzzo e odore di marcio. ”Questo è il posto giusto per morire anche solo respirando”, pensai ironicamente mentre ci accomodavamo su due sedie in legno unte e sgangherate.
Subito mi guardai intorno, era una mia abitudine visto che mi era difficile star lontano dai guai, anche se ci mettevo tutta la buona volontà. Lo scenario non era male: un gruppo di pescatori che bevevano e cantavano al banco; donne con abiti succinti sparse per il locale, per dar l’impressione di esser clienti, e un paio di uomini dall’aspetto sinistro che, seduti in un angolo ci osservavano.
“Bene” dissi tra me e me :”Di sicuro devo tenermi alla larga da quei due”, intanto il barbiere aveva già ordinato da bere. Era eccitato e non si curava di dove era capitato.
Bastarono, come previsto, due bicchieri di pessimo rum, e il mio amico iniziò a non capir più nulla, sorseggiava e si intratteneva a palpeggiare una donna matura, in carne, con l’alito che sapeva di rum e tabacco.
Anche io ero stato avvicinato, una bella rossa dai capelli corti e gli occhi da cerbiatta, Pauline era il suo nome. Sapevo bene cosa voleva e io mi divertivo a girare intorno, senza mai cedere. Era un gioco che amavo: sapevo che il mio aspetto non contava, ma il volume del portafogli si, ed io giocavo a mostrarle le banconote, passandole sotto il suo naso per poi farle sparire nella mia tasca. A Pauline piaceva, tanto che, seduta sulle mie gambe, si strusciava con forza sulla mia patta, trovandone godimento.
Mi sussurrò all’orecchio: “Vieni da me…….a casa mia….Lì io sono Libera….”
Sorridendo, maliziosamente le risposi :”Si….libera dal padrone del bar, ma a casa tua ce ne sarà un altro….”.
Lei mi guardò imbronciata sbuffando, sapeva che dicevo il vero.
Per consolarla, presi una banconota da 50 Franchi , l’arrotolai e condecisione, gliela infilai tra le gambe. :”Così nessuno verrà a cercartela, è tua” le dissi a bassa voce ammiccando. Un lungo bacio mi accompagnò nei successivi trenta minuti, portandomi con la mente altrove, dove avrei voluto essere.
Ma avevo perso un pò il controllo della situazione, il mio compare si era appartato in una saletta che aveva le sembianze di un grande sgabuzzino. Poi c’erano quei tipi che mi osservavano. C’era poco da fare, in un modo o nell’altro, ci avrebbero spennati e lasciato qualche segno addosso.
La porta si spalancò facendo entrare un fascio di luce intenso. Cinque sagome entrarono e riconobbi subito “Bimbone” dalla sua imponente figura. Lo chiamavo così, perchè era forte e possente, ma aveva un animo gentile, tanto gentile da preferire gli uomini alle donne ed amava gli occhi azzurri.
I due uomini seduti all’angolo si alzarono, sbattendo la porta.
Intanto, i ragazzi che stavano con Bimbone, alterati dall’alcool, importunavano le “signore” del locale, palpandole e urlando ogni tipo di oscenità.
Uno dei due uomini si lanciò contro un marinaio: una secca testata, gli spaccò il naso, facendolo accasciare a terra, urlante e grondante sangue.
Tirai via dalle mie gambe la povera Pauline, facendola cadere a terra. Con un rapido sguardo, le feci cenno del mio dispiacere, ma in quel momento non era il caso di badare ai formalismi. Lei capì, seppur spaventata.
Feci un rapido balzo verso l’uomo che aveva colpito, lanciandomi verso lo stomaco. L’urto fu violento, facendo sbattere alla parete quel bastardo. Rialzai la testa, lo guardai negli occhi, mentre lo prendevo per il bavero: il mio pugno iniziò a colpire e smise solo quando la faccia gli divenne completamente rossa di sangue.
Bimbone teneva per il collo e per il braccio l’altro sgherro. Aveva in mano un coltello, lungo ed affilato. Con un pò di forza al polso, gli fece mollare la presa, per poi assestargli un montante alla mandibola, per farlo ricadere esanime a terra.
Il padrone,da dietro il bancone, urlava e chiamava la polizia al telefono. Dovevamo sparire e subito anche.
Bimbone prese su una spalla il ragazzo che, delirante di dolore, invocava il nome della madre. Gli altri aprirono la porta, facendo strada e stando attenti che fuori non ci fossero cattive sorprese.
Intanto, mi ero precipitato nella saletta, a recuperare il barbiere. Aveva la testa affondata nel seno giunonico della donna. Provai tenerezza per un’istante. Ma non avevamo tempo, lo presi per i capelli e lo trascinai fuori, incurante delle sue proteste.
Prima di uscire, incrociai Pauline.
Occhi negli occhi e un bacio rapido e carico di passione poi lei piangendo : ”Ti rivedrò?”, chiese.
“Forse...Ritrovarci non sarà difficile.” Le risposi sorridendo.
“Au revoir…..Mon petit” , disse lei.
“Au revoir...mia belle!”, urlai mentre scappavo via dalla porta.
E’ passato un anno. Adesso io e Pauline viviamo insieme ed aspettiamo un bambino.
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