Quella notte si “ballava”.
Avevo finito il turno a mezzanotte, e il bollettino meteo non era incoraggiante : avviso di burrasca nel settore dove stavamo dirigendo.
“Bene” pensai, “Queste sei ore di riposo saranno
accompagnate dal “dolce” dondolio della nave”.
Amavo questa cosa. Amavo soprattutto la sensazione di esser sollevato e quella sensazione di vuoto, quando l’elica usciva fuori dall’acqua. Poi il sentirsi schiacciato quando ritornava giù.
Il rumore dell’elica dettava i ritmi del mio riposo. Riuscivo a capire e, a prevedere, quando stava per salir su, oppure se si stesse cambiando rotta.
Questo dimostrava il rapporto che avevo con la mia nave: la sentivo pulsare dentro me, carpendo i suoi stati d’animo.
Quella notte, la sentivo tormentata, disgustata e capricciosa per come veniva governata.
“Questa notte non si riposerà”, considerai tra me e me.
Non tardò ad arrivare il quartigliere. Mandava un odore disgustoso e respirava affannosamente: quando il mare è inferocito tutto diventa pesante per tutti.
"Sei sveglio?" disse con voce tremante, aveva paura delle mie reazioni.
"Io non dormo mai, lo sai." risposi aprendo un solo occhio, poi ripresi : "So perché sei qui. Mi rivesto, tra poco sarò su. Avvisa chi ti ha mandato qui.”
Il ragazzo si congedò senza dire una parola, gli era andata di lusso quella mia risposta, secca e amara.
Sapevo che sarebbe andata a finire così. Sapevo che sopra, al timone, c’era qualcuno che era in grado di governare la nave solo con mare “forza olio”. Sapevo, che il Comandante, alla prima incappellata, avrebbe pronunciato il mio nome una volta sbalzato fuori dal letto.
Avevo bisogno di tirarmi su, di qualcosa che mi tenesse sveglio. Aprii l’armadietto e tirai fuori la fiaschetta col mio bourbon preferito. L’agitai, giusto un bel sorso. "Ti volevo conservare per quando si arrivava a terra, mia cara. Ma c'è un fuori programma".
Buttai giù tutto d’un fiato e salii.
Non badai a chi mi trovavo di fronte mentre mi recavo in plancia, di certo non era un bel vedere: persone stese a terra, qualcuno,addirittura, con un rosario tra le mani;c’era chi resisteva e fagocitava residui di una focaccia al sale; l’odore acre si mescolava con quelli della birra e del rum riversati per terra.
Passai per la cucina, quell’odore mi aveva messo appetito e il mio stomaco doveva affrontare al meglio quella maledetta notte: pane raffermo,burro e alici sotto sale.
Il forte salato, si scontrava con la delicatezza del burro, come un’onda che scioglie la sabbia. Così il burro, cedevole sotto l’aspro e l’amaro del sale, si lasciava penetrare e sciogliere. E nello stesso modo riempiva il palato, lo impregnava e saziava.
Salii sopra, tirai forte la porta e in un attimo, prima di entrare, chiusi gli occhi per poi abituarmi all’oscurità. A malapena si riusciva a scorgere qualche luce all’orizzonte, solo la bianca spuma di mare prima che travolgesse la prora con un fragoroso rumore.
Il Mare era padrone della plancia. Non si sentiva nulla, solo i lamenti di chi non riusciva a contenere la Sua furia.
Il timoniere, si era rizzato con una cima al timone, sembrava un pupazzo inerme che seguiva le volontà della ruota a caviglie.
Senza troppi convenevoli sciolsi le cime, lo tirai dalla postazione per poi rilasciarlo a terra. “Marinai, timonieri non ci si inventa, Sergente” gli sussurrai all’orecchio.
Mi posizionai, piantando bene i piedi sulla pedana, strinsi forte le caviglie del timone. Chiudendo gli occhi, cercavo di sentire quelle vibrazioni, entrare in sincronia con il mare e trasmetterle alla nave. Avevo messo la prora al vento, prendendo di mascone le onde.
Una lotta, io contro il cavallo che non vuole esser domato, ad ogni onda venivo sbalzato a terra,ma non mi lasciavo abbattere e riprendevo la posizione.
Ad ogni colpo smorzavo accostando, rendendo meno duro l’impatto e dando più stabilità alla nave. Era passata appena un’ora, ma sembrava fosse un’eternità, vietato distrarsi perchè, pur anticipando la manovra, le onde arrivavano incrociate. Pian piano mi ci abituai, iniziavo a contenere i “colpi” a contare le le onde, canticchiavo canzoni da bar per tenermi sveglio e urlavo eccitato ad ogni onda che superava la coperta, investendola.
La notte andava a finire, lasciando spazio alla luce dell’alba. La visibilità mi veniva in aiuto e le onde iniziavano a diminuire d’intensità, il fronte era quasi superato.
Le poche persone che avevano resistito in plancia iniziarono rimettere ordine in un’alba in cui la notte dura che avevamo passato la faceva ancora da padrona.
A fine turno si presentò il Comandante, rigoroso : ”Buongiorno, Signori! Doveva essere una dura notte, ma vedo che convocare il timoniere di manovra l’ha resa meno dura del previsto! Ben fatto!” Pronunciò queste parole con soddisfazione evidente, nonostante non ci fosse l’ombra di un sorriso a rischiarargli il volto.
Passai il timone al cambio, sbuffando e con una voglia matta di caffè : ”E’ stata una notte serena, una dannata Notte per me. Per saper governare c’è bisogno di Cuore anche.” Sentenziai.
#nessunoenessuno
tutti i diritti sono riservati
tutti i diritti sono riservati
Incalzante come le onde di quel mare che racconti: bravo!
RispondiElimina